(1952.02) Il Giappone, come prima

Com'è noto, la politica ufficiale americana in Giappone ebbe suoi pilastri, sul piano economico, in una serie di provvedimenti diretti a "deconcentrare" i complessi industriali, a sopprimere i monopolii e a riorganizzare "democraticamente" le società per azioni. Tali provvedimenti avrebbero dovuto eliminare il pericolo di un nuovo espansionismo nipponico…
Che tuttavia si trattasse di pure baggianate propagandistiche apparve ben presto chiaro, e la situazione è oggi che – leggi o no – il processo di concentrazione è ricominciato sotto la spinta, inevitabile e favorita dalla stessa America, della necessità strutturale di vendere sul mercato mondiale, e quindi di affrontare la concorrenza con la massima concentrazione di mezzi finanziari e con una produzione razionalizzata, in serie, a bassi costi.
Non stupisce quindi di leggere su Le Monde (19-10) che, nel campo delle acciaierie, le tre grandi aziende la cui partecipazione alla produzione di acciaio sommava nel 1937 al 97,8%, per scendere nel 1949 all'88,5%, vi contribuivano nel 1951 per il 93,2; nel campo delle costruzioni navali, la percentuale della produzione di sei grandi aziende sulla produzione complessiva scende dal 91,7 nel 1937 al 61,7 nel 1949 e risale al 73 nel 1951; quella di dieci grandi società carbonifere supera nel 1951 la percentuale del 1937 (62,9% contro il 60,6) e così via.
D'altra parte, i famosi "zaibatsu", le grandi società finanziarie tentacolari che, prima della guerra, controllavano praticamente l'industria, le miniere, i trasporti e il commercio estero giapponese — le quattro banche Mitsui, Mitsubishi, Sumitomo e Yasuda —, e che la legislazione americana "antitrust" pretese di sciogliere, sono ritornate sulla scena non soltanto coi loro tradizionali ritmi, ma coi tradizionali legami in campo finanziario, manifatturiero, minerario, chimico ecc.
È lo stesso processo verificatosi in Germania, inevitabile sia per la necessità di mantenere — anche a fini di stabilità sociale — un minimo di attività produttiva nei due Paesi vinti, sia per l'urgenza americana di sfruttare ai fini del potenziamento bellico l'apparato industriale dei maggiori centri di produzione dell' "area del dollaro", sia infine per l'impossibilità generale di disfare con misure d'ordine amministrativo il processo storico dell'evoluzione capitalistica.
Che è un'altra conferma del marxismo.

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