Sbaglierebbe di grosso, chi credesse che
il punto di partenza delle deviazioni opportuniste, in fondo alle quali attende
il leccamento degli stivali della borghesia, sia da ricercarsi sul terreno
teorico. Per carità! L'opportunismo, se guarda alla teoria, lo fa con gli occhi
del leone. Coloro che passano nel campo dei servi della classe dominante, vengono
determinati a farlo certamente non da una interpretazione errata dei principii
basilari della dottrina o da una infelice scelta dei mezzi tattici. Si può
sbagliare nel campo teorico e tattico senza rendersene conto, ma non si può sicuramente
svolgere la funzione di sicofante della borghesia e di traditore del
proletariato senza averne in ogni momento la netta consapevolezza. Ciò è
soprattutto vero quando si tratta di ex-rivoluzionari desiderosi di farsi
rimborsare dalla borghesia i danni subiti e procurarsi una vecchiaia disonorata
ma comoda. Di qui non si scappa: si serve la borghesia e l'ordine sociale
politico esistente non tanto per le idee che si professano (la stragrande maggioranza
delle masse lavoratrici, specialmente oggi, è prigioniera di influenze
controrivoluzionarie, ma ciò nonostante esse non possono certo definirsi
altrimenti che classe sfruttata ed oppressa), ma per l'atteggiamento concreto,
cosciente, che si osserva di fronte agli organi costituiti della macchina
statale capitalista.
Alla svolta in discesa che porta nell'opportunismo
e nella prostituzione politica c'è un mutamento radicale, quando si tratta di
ex-rivoluzionari, nell'atteggiamento di fronte al potere dello Stato, all'ordine
costituito borghese, alle autorità "legittime", alla legge scritta. Il
marxismo non considera la teoria e l'azione in sfere distinte e separate. Chi
alimenta dottrine controrivoluzionarie, non può che agire in conseguenza sul
terreno pratico. Ma è anche vero che nulla più del tradimento di classe dimostra
meglio l'esattezza del principio marxista, secondo cui viene prima l'azione, dopo il riflesso intellettuale di essa. Prima si passa al nemico,
prima si tradisce la classe cui si appartiene o per cui si è lottato un giorno;
solo in seguito si tenta una giustificazione travisando vergognosamente i
principii.
Ma come distinguere la condotta contraddittoria
(propria delle masse impreparate) e gli errori involontari (propri dei
rivoluzionari in buona fede), dal tradimento degli opportunisti? Così come
facciamo nei confronti, ad esempio, degli stalinisti, di costoro denunciamo non
quanto essi dicono di sé, ma quanto essi fanno nei confronti dello Stato
borghese, identificato non nel transeunte personale di governo, ma nell'insieme
di istituzioni ed organi preposti a conservare il modo di produzione e
l'ordinamento sociale propri del capitalismo. Nemico involontario ed
inconsapevole dei suoi stessi interessi di classe può essere il proletario
impreparato; servo della classe dominante e traditore delle masse è colui che
preparato quanto basta per afferrare il contenuto di classe dello Stato,
accetta di assoggettarglisi pretendendo nello stesso tempo di rappresentare gli
interessi operai. Traditore non si può certamente definire il poliziotto o il
magistrato che svolge la sua funzione nella convinzione che lo Stato è ente
imparziale al di sopra o al di fuori delle classi avendo scoperta la menzogna
di tale tesi, non si fa passare per amico della classe oppressa. Poco importa
se consapevoli o non della loro funzione, costoro sono dei nemici, minuscoli
elementi dell'enorme macchina di repressione dello Stato. Chi è dunque il
combattente fedele della classe oppressa? Colui che ha compresa e fatta propria
la dottrina materialista dello Stato inteso come organo di lotta della classe
dominante contro le masse sfruttate ed oppresse? Non basta.
Tale concetto primordiale, che serve
come criterio infallibile per distinguere il rivoluzionario dal traditore
opportunista, è presente nella storia di tutte le lotte rivoluzionarie. Il
titano Prometeo colpevole, secondo la mitologia, di avere insegnato agli uomini
l'uso del fuoco, avvenimento gigantescamente rivoluzionario nella storia della
civiltà, assurge a simbolo di eroe rivoluzionario non solo perché consapevole,
contro il parere reazionario di Giove, dell'enorme carica di conseguenze
sociali derivante dalla innovazione della cottura dei cibi e della metallurgia,
ma soprattutto per il suo fierissimo atteggiamento di fronte alla scatenata ira
di Giove, per il rifiuto sprezzante di riconoscere il potere costituito che lo
incatena alla rupe, e di assoggettarglisi. Il suo gesto rivoluzionario non
scaturisce da fredda elaborazione intellettuale, ma da un atto drammatico di
rivolta e di odio irreconciliabile verso il potere legale, sia pure divino, e,
pur di non macchiarsi di alcuna debolezza opportunista nei confronti di esso,
egli sopporta la terribile punizione inflittagli.
Purtroppo ciò che divora il fegato degli
streminziti teoricastri dell'opportunismo si diversifica enormemente
dall'avvoltoio della leggenda; è solo l'eccesso di bile provocato dalla brama
insaziata, direttamente proporzionata all'accumularsi di una vecchiaia spoglia di
onori e dì cariche, di "essere qualcuno" sulla scena politica. Rimanere
incatenati anti-eroicamente alla nuda rupe della oscurità, della non celebrità e,
diciamolo pure, della micragna, costoro assolutamente non sanno. Nulla è più
estraneo a loro che… il complesso prometeico. Hanno bisogno di svolgere la
funzione e godere dei privilegi carpiti dai maiali nella Fattoria degli animali del libro famoso. Allora sono spinti ad
inzuppare il loro rivoluzionarismo verbale, sia pure detto scherzosamente, nel
dolce vino del legalitarisino, cioè del rispetto deferente della legge dello
Stato borghese. Oppure si tratta solo di vile soggezione alla schiacciante
potenza della macchina statale. Esempio classico: Karl Kautsky, il rinnegato
Kautsky, l'antipodo dell'eroe rivoluzionario, rivoluzionario e marxista in
gioventù e ruffiano del potere costituito e traditore del proletariato nel momento
cruciale coincidente con la sua trista vecchiaia, allorché si trattò, negli
anni del 1919-21, di passare dalla critica all'azione insurrezionale contro i
pilastri della dominazione borghese. Perché Lenin definì Kautsky traditore e rinnegato,
anche se la sua funzione di agente della controrivoluzione lo assimilava
perfettamente allo sbirro, al deputato, al magistrato? Forse per il fatto che
barattò l'ideologia, la dottrina, il programma? Anche per questo, ma
soprattutto perché la contaminazione patriottarda e democratica del marxismo
rappresentò solo la giustificazione ipocrita di un tradimento di fatto già avvenuto,
tradimento che si effettuò proprio nel senso del capovolgimento di
atteggiamento politico di fronte allo Stato capitalista internazionale, sceso prima
nella bolgia della guerra imperialista, poi nella crociata contro la rivoluzione
comunista. Sappiamo tutti come si perpetrò il tradimento. I capi della Seconda Internazionale
socialdemocratica, che in Karl Kautsky dovevano trovare la loro più perfetta espressione,
al Congresso di Stoccarda del 1907, si erano ammantati delle vesti di prometei
antiborghesi, deliberando di trasformare la guerra imperialista in lotta per
l'abbattimento del domino capitalista. Quando, nell'agosto del 1914, essi cedettero
ai rispettivi Stati nazionali, accettando non solo di sospendere la lotta
contro il capitalismo, ma di aderire entusiasticamente alla carneficina imperialista,
non lo fecero certamente per errata interpretazione di una risoluzione o di un
testo. Quella votata a Stoccarda era dichiarazione quanto mai categorica ed
inequivocabile. Fu chiaro allora che il voltafaccia socialdemocratico era
dovuto unicamente a soggezione di fronte alla terribile minaccia della repressione,
a mancanza di coraggio rivoluzionario. Tutto quello che poi Kautsky doveva
almanaccare nel campo teorico, negli anni del 1919-20 doveva servire unicamente
a giustificare il rinnegamento commesso cinque anni prima, nel momento in cui
si trattò di dare corso alle minacce formulate contro la borghesia.
Egualmente dovevano comportarsi
politicamente i capi stalinisti della III Internazionale: fu il capovolgimento
della tattica, il passaggio a contatti adulteri con gli agenti del nemico
borghese, che provocò le deformazioni e i rinnegamenti nel campo ideologico, e
non diversa-mente. Oggi come oggi, avviene lo stesso.
La regola generale cui si adegua il
tradimento e il passaggio tra gli scherani del capitale ripetiamo è questa: prima, il pecoresco accucciarsi ai piedi
dello Stato borghese impersonato in sbirri e funzionari; dopo, la giustificazione pseudo-teorica del gettito del principio
rivoluzionario. Viene prima il cedimento alla influenza del nemico, l'inquadramento
nel suo meccanismo di repressione; dopo gli che si dà la stura alla logorrea
nauseante sulla utilizzazione delle possibilità legali, sulla possibilità di adoperare
gli organi e le leggi dello Stato capitalista… contro gli interessi del capitalismo,
e porcherie simili. Comunque, ogni male ha la sua consolazione: meglio un traditore
dichiarato che un Malinovskj, annidato nel partito, a spiare e sabotare…
Lasciamo i vermi a strisciare.
Gli esempi di tradimento e di passaggio al nemico sono veramente
innumerevoli. Viceversa non esiste un solo esempio di raggruppamento politico
che abbia commesso il gesto di inquadrarsi nella legalità borghese, riuscendo
ciò nonostante a conservare il suo carattere di forza rivoluzionaria. Esempio
simile non esiste né al passato né al presente, non esisterà nel futuro.
Evidentemente, la lotta di classe obbedisce a leggi che per rigidità non si
diversificano da quelle fisiche. Il mezzo migliore per farsi stritolare rimane
l'inane tentativo alla Sisifo di opporre al loro ferreo concatenarsi e
impersonale applicarsi il buffonesco potere della personalità con la p
maiuscola dei pretesi grandi uomini. Chi ha lasciato impigliare un lembo della propria
casacca, venduta probabilmente prima che fosse tagliata e confezionata, negli ingranaggi
della macchina statale del capitalismo ci rimane per sempre. Purché non ci
pensi egli stesso a togliercisi, adoperando l'estrema risorsa del Giuda Iscariota.
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