(1952.02) Dietro la facciata della proprietà americana

La classe dominante americana va orgogliosa dei successi ottenuti non solo nel procurar lavoro quasi a tutti, ma nell'aver assicurato a chi lavora un livello medio di vita che non ha confronti in nessun altro Paese del mondo. E se ne vanta come se, tutto questo, fosse un suo grazioso dono alla massa dei lavoratori.
La verità è ben diversa. Gli Stati Uniti hanno potuto, per ragioni che abbiamo spesso analizzato, moltiplicare il volume della produzione e, di conseguenza, i mezzi di vita a disposizione dei propri cittadini; ma, in questo gigantesco sviluppo, chi lavora, chi, insomma, "produce", non solo non ha ricevuto nessun gratuito dono, ma, al contrario, è stato continuamente defraudato. Nulla di nuovo, nella società borghese, d'accordo; ma tanto più significativo ed appariscente là dove sembra – e si vuol fare apparire – che la prosperità sia un "bene comune" di proletari e sfruttatori.
Prendiamo i dati ufficiali. Dal 1848 al 1929 – cioè nella prima, ininterrotta ondata di ascesa del capitalismo U.S.A. – la "quota spettante al lavoro manuale sul valore aggiunto alla produzione" è scesa dal 51% al 38,2%: in particolare, nel periodo di maggiore espansione industriale – il 1926-29 –, precipita dal 39 al 36,2% (in tre anni!); nel periodo 1927-29 la produttività media oraria per operaio aumenta dell'8%; nello stesso periodo, i profitti aumentano del 24%. La stessa constatazione viene espressa in altro modo così: il prodotto nazionale lordo cresce (1927-29) del 10%; il salario reale del 5% appena.
Prendiamo il secondo periodo di espansione in fase economica normale (prescindendo cioè dalla situazione eccezionale di guerra), il 1945-48: i profitti (al netto delle tasse) salgono da 8,5 a 21,2 miliardi di dollari: l'indice del salario reale scende da 152,8 a 129,2. I profitti lordi risultavano nel 1948 aumentati del 40% sul 1946; i profitti netti del 50%; l'aumento della produzione è del 23,5%; quello della produttività per operaio del .4%; l'aumento dei salari è stato più che compensato dall'aumento dei prezzi.
La produttività americana aumenta in media del 3% all'anno: in altre parole, l'operaio produce nell'unità oraria sempre di più (si badi che la percentuale si riferisce alla media; nella grande industria si arriva ad aumenti reali di gran lunga più forti); di questa produzione crescente la forza-lavoro riceve proporzionalmente sempre meno, il capitale sempre più. E del resto, di chi può andare a vantaggio l'aumento della produttività – o teorici stalinisti dello stimolo alla produzione – se non di chi si appropria il prodotto?
La conclusione è che più la classe operaia americana "sta bene", più partecipa in valori monetari assoluti alla prosperità "generale", più il tasso del suo sfruttamento cresce. A prescindere, s'intende, dall'instabilità di una situazione che si regge su un predominio economico mondiale e, per buona parte, sulla produzione di guerra…

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