(1952.02) Le "riforme" di Naguib

Chiamato al potere per dare alle masse contadine e operaie il contentino di una rivoluzione apparente, risoltasi in un cambio della guardia al Capitale, Naguib "riforma". Qual è, oggi, il regime borghese che non "riformi"?
Com'è noto, il punto dolente della situazione sociale egiziana è lo stato di estrema miseria del piccolo contadino, il fellah. La situazione è questa: circa 2 milioni di fellah possiedono in media 1 feddan di terra, uguale a 0,4 ettari: essi costituiscono il 72% dei "proprietari terrieri" d'Egitto e possiedono il 13% della terra lavorabile. Vi si aggiungono da 1,5 a 2 milioni di fellah senza terra che lavorano come braccianti o come fittuari su terre padronali: poiché d'altra parte si calcola che l'appezzamento minimo necessario per assicurare la nuda vita a una famiglia contadina sia di 2-3 feddan, è chiaro che i 2 milioni di "piccoli proprietari" devono lavorare anch'essi, per buona parte del giorno, come braccianti o come affittuari. Vi è poi uno strato superiore di proprietari agricoli con più di 50 feddan: essi costituiscono lo 0,4% dei proprietari terrieri e possiedono il 35% della terra. Infine, 200 proprietari detengono una media di 200 feddan a testa, mentre il rimanente è proprietà di istituzioni "religiose, culturali o benefiche" (!).
La riforma di Naguib stabilisce che non si possano possedere più di 200 feddan a testa: il suolo eccedente questo limite sarà confiscato dietro indennità (in titoli di Stato con interesse al 3,25%) e rivenduto ai piccoli fellah che lo pagheranno in 30 anni. Ora, l'esproprio contemplato dalla legge – quand'anche questa fosse rigorosamente applicata – metterebbe "a disposizione dei fellah" un totale di circa 725.00 feddan, sui quali potrebbero stabilirsi al massimo 360.000 fami-glie, il 10% delle famiglie dei fellah.
La riforma darebbe dunque ai contadini un quadratino di terra appena sufficiente per la fossa e, nello stesso tempo, metterebbe il fellah – obbligato a pagare ratealmente il suolo confiscato e, per farlo rendere, a investire denaro in attrezzi, concimi ecc. – in balia degli usurai. D'altra parte, la disposizione per cui, nelle terre ad affitto, il canone annuo non deve superare un terzo del prodotto è puramente illusoria, perché chi ha in mano capitale e prodotto detterà legge al fellah affamato e privo di appoggio. E tacciamo, poi, degli imbrogli connessi a riforme agrarie del genere, grazie ai quali la terra è regolarmente tornata nelle mani della stessa classe o della borghesia cittadina.
E il proletariato industriale? Su questo punto, Naguib il riformatore tace. Ma il proletariato industriale, gravemente colpito soprattutto dalla crisi cotoniera, sa solo che il "nuovo regime" ha spietatamente colpito gli scioperanti e, fra i suoi primi atti di governo, ha fortemente aumentato le imposte indirette (tabacchi ecc.) e i dazi ad valorem. La classe che ha in mano la rete dei commerci interni ed esteri, le banche, il mercato ipotecario (e potrà quindi sfruttare a sangue il contadino "libero proprietario" non meno e forse più dei grandi proprietari terrieri) e l'industria, non è stata toccata, tanto più che il capitale è, in Egitto, per il 40-50% in mano a stranieri e gli investimenti riguardano per tre quarti attività extra-agricole. La "riforma agraria", se avverrà, si risolverà anzi – sia per le necessità di sfruttamento delle nuove proprietà contadine, sia per la bonifica di terre non coltivate – in un utile netto delle banche di credito ed ipotecarie e, in partico1are, del capitale estero, cui sarà necessario ancor più di prima ricorrere.
E allora? Allora Naguib ha procurato di eliminare la schiuma dello sfruttamento della classe che lavora e il vistoso bubbone della corruzione di singoli e cricche, per rendere possibile la continuazione indisturbata dell'estorsione generale del plusvalore dietro le apparenze di un "miglioramento delle condizioni di vita degli oppressi".

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