(1952.01) Gli alambicchi della democrazia

A leggere i giornali, sembrerebbe che la democrazia italiana si agiti nelle doglie del parto. Consultazioni dentro e fuori il governo, mozioni alla Camera, convegni e congressi di partiti, progetti, piani di voronovizzazione dell'istituto parlamentare, promesse e parole d'ordine: è tutta una girandola di esperimenti all'alambicco della democrazia perfetta.
Che cosa sta dunque agitandosi nel ventre della repubblica democratica fondata sul lavoro (e voleva appunto alludere, la Costituzione, a questa forma di "lavoro" perfettamente simile all'ozio)? Oh, semplicissimo: stanno maturando le elezioni. E il grande problema non è quello di sfornare programmi che gli elettori sarebbero, domani, invitati ad accettare o a respingere, ma quello di trovare gli accorgimenti migliori per creare oggi, nelle storte e negli alambicchi, non solo il risultato generale — che si sa già, perché non è determinato da "volontà" di elettori, ma da concreti rapporti di forza internazionali —, ma i suoi ineffabili particolari; il problema di stabilire fin da oggi, all'interno della coalizione vincente, la distribuzione preventiva dei posti al parlamento e al senato per non scontentare nessuno e, se possibile, per accontentare tutti.
Al congresso socialdemocratico di Genova non si è parlato d'altro perché nessun altro pro-blema urgeva, e al Viminale, a Montecitorio, a Palazzo Madama, l'argomento fondamentale della discussione rimane quello della "proporzionale corretta" (buon termine da caffè di terz'ordine), della "piccola riforma del Senato" e della liquidazione del referendum (o della sua correzione).
Tutto questo, beninteso, non ci interessa per nulla; interessa invece constatare come la demo-crazia confessi apertamente di non reggersi affatto sulla "volontà popolare" o sul verdetto della "coscienza personale", ma su un gioco centralizzato e totalitario di combinazioni, di fronte al quale il cosidetto responso delle urne è solo la riproduzione ritardata di un fatto già avvenuto. Andate, con questo, a discutere di sottili differenze fra totalitarismo e democrazia, fra libertà e dittatura, fra democrazia e fascismo. Dopo averci incasellati nel blocco occidentale, incasellano i "rappresentanti del popolo" negli stalli di Montecitorio e di Palazzo Madama secondo la tecnica delle assemblee delle società anonime o del cerimoniale delle precedenze nelle Corti del buon tempo antico (andate a parlare, dimenticavamo, di differenze fra repubblica e monarchia).
Il guaio è che troppi proletari ancora ci credono, e passeranno questi mesi di attesa delle ele-zioni nel patema d'animo di chi attende un risultato "ignoto". Eh no! Le elezioni non sono an-cora state messe alla Sisal solo perché sarebbe troppo facile indovinarne l'esito finale!

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