(1952.01) Geografia dell'opportunismo

È detto nel Manifesto dei Comunisti che il proletariato deve lottare anzitutto contro la propria borghesia nazionale. Nonostante le odierne misure di controllo superstatale e supernazionale esercitate dai centri mondiali imperialistici, tale principio rimane saldamente in piedi, dato che la sudditanza delle borghesie nazionali ai colossi mondiali non esclude l'esistenza e il formidabile funzionamento di macchine statali locali, che se hanno perduto, o stanno perdendo, molto del loro potere di influenzare lo sviluppo dei grandi avvenimenti mondiali, conservano tuttora, anzi possiedono in misura aggravata, la capacità di esercizio della repressione. Di conseguenza, la rivoluzione proletaria non può concepirsi, pur rimanendo indiscussa la necessità del suo sbocco mondiale, che iniziantesi con la rottura degli apparati di repressione locali.
Ma far saltare la macchina statale capitalista significa anzitutto sgominare gli schieramenti opportunisti, pseudo-proletari, che dello Stato sono la protezione più preziosa e la condizione immancabile del funzionamento del suo meccanismo di repressione e intimidazione. Tutta quanta la strategia rivoluzionaria della III Internazionale leninista si resse su tale principio, sicché la condizione prima della riuscita dell'attacco rivoluzionario fu identificata nella distruzione delle organizzazioni socialdemocratiche di vario colore. La successiva evoluzione del capitalismo non ha mutato le direttrici strategiche di allora, anche se apparati e inquadramenti di partiti, a suo tempo inseriti nella Internazionale comunista, figurano oggi nello schieramento mondiale dell'opportunismo. Il nemico immediato da abbattere, le prime trincee della conservazione borghese da prendere di assalto, restano le organizzazioni politiche opportuniste.
Multiformi, ma non troppo, appaiono le casacche ideologiche e propagandistiche dell'opportunismo internazionalmente considerato. Varie sono le origini storiche, le linee di sviluppo seguite, i miti, le tradizioni organizzative, delle varie popolazioni politiche che colorano variegatamente la mappa dell'opportunismo. Ma il carattere fondamentale, a cui tutte si possono riportare e che le assimila necessariamente di fronte allo Stato capitalista, è uno, e uno solo: la loro sostanziale politica di conservazione dei due estremi del capitalismo: il capitale (privato o "nazionalizzato", poco importa) e il lavoro salariato.
Per il principio anzidetto che ogni proletariato deve anzitutto lottare la borghesia nazionale, i gruppi rivoluzionari, dove esistono, debbono anzitutto gettarsi nella lotta contro l'opportunismo locale. Avviene però che tale lotta comporti, in taluni elementi meno provveduti, a sopravvalutare la effettiva consistenza ed il reale potenziale politico del nemico opportunista, giungendo persino ad illazioni arbitrarie in tema di valutazione dei rapporti di forza tra i campi in cui l'imperialismo divide il fronte antiproletario e controrivoluzionario dell'opportunismo.
Giova pertanto, giacché non può bene agire chi male ha compreso, passare in rassegna rapidamente le forze internazionali dell'opportunismo. Opportunismo filo-americano? Opportunismo filo-russo? Proprio. Siffatti concetti non possono apparire arbitrari, da quando la Federazione mondiale dei Sindacati costituita dagli Stati vincitori del secondo conflitto imperialistico, si scisse secondo la linea di frattura politica determinata dalla guerra fredda. Visto che l'opportunismo americano ricusa ipocritamente di svolgere attività politica, annidandosi potentemente nelle organizzazioni pseudo-apolitiche dei sindacati, non può scegliersi altro riferimento storico per tracciare le discriminazioni in atto nel campo dell'opportunismo mondiale. La Internazionale sindacale si scisse allora in due giganteschi tronconi direttamente soggetti all'influenza di Washington e di Mosca, ricalcando fedelmente la polarizzazione delle forze sul piano politico. Tenendo conto delle scissioni sindacali e dell'antagonistico concentramento dei partiti pontici pseudoproletari, operanti sulla arena internazionale, il quadro dei rapporti di forza tra gli schieramenti opportunisti agenti in funzione dei centri imperialistici in lotta, si presenta cosi:
Due Americhe. Tranne qualche situazione locale, l'opportunismo filo-russo in questo continente è praticamente inoperante. Nei grandi Stati, quale la Confederazione nord-americana, il Canadà, il Brasile, l'Argentina, costituisce uno schieramento di scarsissima consistenza organizzativa e di nessuna seria influenza politica, assoggettato come è a un pesantissimo controllo poliziesco o messo addirittura al bando. Negli Stati minori, quali la Bolivia, il Venezuela ecc., o si muove timidamente e anonimamente nella scia di formazioni estremiste locali, come ad esempio, il Boliviano Partito Nazionalista Rivoluzionario di Paz Estensoro o il "Partito de Acion Democratica" del Venezuela; oppure non esiste che simbolicamente data la composizione sociale e l'arretratezza economica di talune repubbliche dell'America centrale e meridionale. Tirando le somme, le influenze opportuniste di orientamento filo-russo sono praticamente assenti nel continente americano. Viceversa, il proletariato dei massimi paesi industriali, in testa gli Stati Uniti e il Canadà, è soggetto a influenze opportuniste direttamente collegate alla borghesia locale, di cui ripetono esasperandoli i motivi della campagna antirussa, anche se, come è il caso dell'Argentina peronista, la crociata guerrafondaia contro Mosca si mescola a una concomitante azione propagandistica e politica che persegue fini di ricatto contro i padreterni del capitalismo yankee.
Europa Occidentale. In questa parte dell'atlante dell'opportunismo il rosso, sia pure usurpato, del filo-russismo, parrebbe che dovesse essere rappresentato a fortissime tinte. Ma si tratta più di illusione che di una valutazione realistica. In Spagna, lo stalinismo è fuori legge. In Olanda, Belgio, Svizzera, Danimarca, Svezia, Norvegia, Austria, non rappresenta nemmeno il partito più forte della minoranza parlamentare, ottenendo bassissime percentuali di voti. Anzi, in alcuni di questi è, dopo la parentesi dell'espansionismo post-bellico russo, in netto declino: nei due maggiori paesi scandinavi i voti stalinisti si ridussero, nel 1948, alla metà, in Danimarca, ad un terzo. In Grecia è uscito da qualche anno completamente sconfitto nella guerra civile iniziata da Markos. Particolare situazione presenta la Jugoslavia, ove la rivolta della frazione titina del partito comunista locale ha provocato il fenomeno originale dell'allineamento in funzione antirussa di un'organizzazione politica tipicamente staliniana. Qui, però, e le recenti esecuzioni di elementi antigovernativi lo testimoniano, la frazione filorussa, benché sotterranea è ancora considerevole.
Esaminati i paesi minori, rimangono i più forti numericamente ed industrialmente: Inghilterra, Germania, Francia, Italia. Non occorre spendere molte parole per dire che l'opportunismo filo-russo è più forte nei paesi (Italia e Francia) in cui meno sviluppata è l'industria, relativamente parlando. In Inghilterra e Germania lo stalinismo è neutralizzato rispettivamente dalla demagogia bevanista e socialdemocratica, i cui programmi di nazionalizzazione colorata per giunta da un'abile propaganda antiamericana costituiscono una insuperabile diga agli allettamenti staliniani. D'altra parte, i recenti avvenimenti nel partito comunista francese, culminati nella clamorosa messa sotto accusa di Marty e Tillon mostrano che il campo dell'opportunismo staliniano francese è minato all'interno. La lunga assenza dal governo logora gli organismi nati e funzionanti per starci. Non è difficile profezia pronosticare che perdurando l'odierno dissimulato totalitarismo democristiano, in Italia dovrà verificarsi presto o tardi un eguale fenomeno. A conti fatti, lo stalinismo detiene in Europa occidentale posizioni tutt'altro che predominanti e, per di più, non definitive. Il proletariato dei maggiori paesi industriali e militari per la schiacciante maggioranza subisce l'influenza dell'opportunismo che se non è dichiaratamente filo-americano, non dissimula affatto il suo caparbio e fanatico antirussismo. La petulante propaganda cominformista basata su patetici appelli alla concordia e proposte adescatorie di embrassons-nous generali, costituisce la riprova di quanto andiamo dicendo.
Asia. In questa parte del mondo l'opportunismo staliniano ha conseguito i massimi successi nel dopoguerra e mantiene un'energica azione di disturbo e di guerriglia partigiana contro i governi sostenuti dalle potenze colonialiste occidentali, rendendone precaria la stabilità politica. Qui si è verificato il più clamoroso spostamento di forze imperialistiche ed opportuniste a favore di Mosca, e cioè la cacciata dalla Cina delle forze legate al Kuomintang e l'instaurazione del regime di Mao-Tse-Tung. Le ripercussioni del gigantesco avvenimento si manifestano tuttora con l'intensificazione della guerra partigiana nel Viet-Nam (Indocina), scoppiata fin dal dicembre del 1946, in Malesia, nelle Filippine, ove su una popolazione di 18 milioni di abitanti circa, 500.000 tra aderenti e simpatizzanti ingrossano le file del clandestino partito degli Huks che solo la presenza di basi militari americane sul territorio della repubblica riesce a contenere. Forse si mantiene l'influenza staliniana nelle altre zone, e dove non riesce ad affermarsi, subisce gli effetti della politica di gelosa neutralità che nei confronti degli antichi padroni colonialisti di Occidente svolgono, per lo più sul piano delle enunciazioni ideologiche, i governi indipendenti recentemente costituiti (India, Pakistan, Indonesia, Stati arabi, ecc.). Fa eccezione il Giappone, che è la più forte, se non addirittura l'unica, potenza industriale con considerevole proletariato, del continente asiatico e del Pacifico. Qui la politica antirussa del governo tocca vette molto alte, sebbene ipocritamente dissimulata, con la conseguenza che le forze staliniste si trovano ad operare in un ambiente di semi-illegalità. Le recenti elezioni nipponiche hanno segnato una bruciante sconfitta dei Cominform.
Il totale dei totali ci fornisce un quadro abbastanza eloquente dei rapporti di forza dei campi in cui l'imperialismo divide l'opportunismo operaio. Balza subito agli occhi che i massimi paesi industriali del mondo, in cui si concentra la schiacciante maggioranza dei mezzi di produzione e degli effettivi del proletariato industriale oggi esistenti, e cioè Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Canadà, Belgio, Olanda, Svezia, Francia, Italia, Giappone ecc., sono sottratti, tranne qualche eccezione, alla influenza dell'opportunismo filo-russo, il quale, tranne la Russia, e in misura di gran lunga minore, l'Ungheria e la Cecoslovacchia, si applica su regioni del globo prevalentemente agricole, che solo oggi fanno i primi passi verso l'industrializzazione capitalista e la proletarizzazione dei contadiname.
Tale risultato, e solo questo, si ottiene facendo ruotare il mappamondo della geografia dell'opportunismo. Quali conclusioni si debbono trarre? Quelle implicite nella nostra concezione dell'opportunismo, considerato nella sua essenza di alleato dell'imperialismo e di nemico giurato della rivoluzione. Sotto questo profilo, ambo i campi dell'opportunismo, ad onta delle diverse ideologie e parole politiche sbandierate, vanno combattuti. Oggi purtroppo ciò è possibile quasi unicamente sul terreno teorico e propagandistico. Ma quando la disfrenata guerra di classe avrà liberato le forze sociali represse, sarà di preziosa utilità per l'internazionale rivoluzionaria futura l'aver acquisito da tempo la nozione dell'esatto rapporto di forza tra i satelliti opportunisti dell'imperialismo. Gioverà soprattutto essersi liberati a tempo della sopravalutazione, artificiosamente alimentata dalla stampa borghese, della capacità di influenzamento politico che si attribuisce agli uni, col risultato di sottovalutare gli altri, e cioè di trascurare di armarsi anche contro di loro.

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