È detto nel Manifesto dei Comunisti che il proletariato deve lottare anzitutto
contro la propria borghesia nazionale. Nonostante le odierne misure di
controllo superstatale e supernazionale esercitate dai centri mondiali
imperialistici, tale principio rimane saldamente in piedi, dato che la
sudditanza delle borghesie nazionali ai colossi mondiali non esclude
l'esistenza e il formidabile funzionamento di macchine statali locali, che se
hanno perduto, o stanno perdendo, molto del loro potere di influenzare lo sviluppo
dei grandi avvenimenti mondiali, conservano tuttora, anzi possiedono in misura aggravata,
la capacità di esercizio della repressione. Di conseguenza, la rivoluzione
proletaria non può concepirsi, pur rimanendo indiscussa la necessità del suo
sbocco mondiale, che iniziantesi con la rottura degli apparati di repressione
locali.
Ma far saltare la macchina statale capitalista
significa anzitutto sgominare gli schieramenti opportunisti, pseudo-proletari,
che dello Stato sono la protezione più preziosa e la condizione immancabile del
funzionamento del suo meccanismo di repressione e intimidazione. Tutta quanta
la strategia rivoluzionaria della III Internazionale leninista si resse su tale
principio, sicché la condizione prima della riuscita dell'attacco
rivoluzionario fu identificata nella distruzione delle organizzazioni
socialdemocratiche di vario colore. La successiva evoluzione del capitalismo
non ha mutato le direttrici strategiche di allora, anche se apparati e inquadramenti
di partiti, a suo tempo inseriti nella Internazionale comunista, figurano oggi
nello schieramento mondiale dell'opportunismo. Il nemico immediato da
abbattere, le prime trincee della conservazione borghese da prendere di
assalto, restano le organizzazioni politiche opportuniste.
Multiformi, ma non troppo, appaiono le
casacche ideologiche e propagandistiche dell'opportunismo internazionalmente
considerato. Varie sono le origini storiche, le linee di sviluppo seguite, i
miti, le tradizioni organizzative, delle varie popolazioni politiche che
colorano variegatamente la mappa dell'opportunismo. Ma il carattere fondamentale,
a cui tutte si possono riportare e che le assimila necessariamente di fronte
allo Stato capitalista, è uno, e uno solo: la loro sostanziale politica di
conservazione dei due estremi del capitalismo: il capitale (privato o "nazionalizzato",
poco importa) e il lavoro salariato.
Per il principio anzidetto che ogni
proletariato deve anzitutto lottare la borghesia nazionale, i gruppi
rivoluzionari, dove esistono, debbono anzitutto gettarsi nella lotta contro
l'opportunismo locale. Avviene però che tale lotta comporti, in taluni elementi
meno provveduti, a sopravvalutare la effettiva consistenza ed il reale potenziale
politico del nemico opportunista, giungendo persino ad illazioni arbitrarie in
tema di valutazione dei rapporti di forza tra i campi in cui l'imperialismo
divide il fronte antiproletario e controrivoluzionario dell'opportunismo.
Giova pertanto, giacché non può bene
agire chi male ha compreso, passare in rassegna rapidamente le forze
internazionali dell'opportunismo. Opportunismo filo-americano? Opportunismo
filo-russo? Proprio. Siffatti concetti non possono apparire arbitrari, da quando
la Federazione mondiale dei Sindacati costituita dagli Stati vincitori del
secondo conflitto imperialistico, si scisse secondo la linea di frattura
politica determinata dalla guerra fredda. Visto che l'opportunismo americano
ricusa ipocritamente di svolgere attività politica, annidandosi potentemente
nelle organizzazioni pseudo-apolitiche dei sindacati, non può scegliersi altro
riferimento storico per tracciare le discriminazioni in atto nel campo dell'opportunismo
mondiale. La Internazionale sindacale si scisse allora in due giganteschi
tronconi direttamente soggetti all'influenza di Washington e di Mosca,
ricalcando fedelmente la polarizzazione delle forze sul piano politico. Tenendo
conto delle scissioni sindacali e dell'antagonistico concentramento dei partiti
pontici pseudoproletari, operanti sulla arena internazionale, il quadro dei rapporti
di forza tra gli schieramenti opportunisti agenti in funzione dei centri
imperialistici in lotta, si presenta cosi:
Due Americhe. Tranne qualche situazione
locale, l'opportunismo filo-russo in questo continente è praticamente
inoperante. Nei grandi Stati, quale la Confederazione nord-americana, il Canadà,
il Brasile, l'Argentina, costituisce uno schieramento di scarsissima consistenza
organizzativa e di nessuna seria influenza politica, assoggettato come è a un
pesantissimo controllo poliziesco o messo addirittura al bando. Negli Stati minori,
quali la Bolivia, il Venezuela ecc., o si muove timidamente e anonimamente
nella scia di formazioni estremiste locali, come ad esempio, il Boliviano
Partito Nazionalista Rivoluzionario di Paz Estensoro o il "Partito de
Acion Democratica" del Venezuela; oppure non esiste che simbolicamente data
la composizione sociale e l'arretratezza economica di talune repubbliche
dell'America centrale e meridionale. Tirando le somme, le influenze
opportuniste di orientamento filo-russo sono praticamente assenti nel continente
americano. Viceversa, il proletariato dei massimi paesi industriali, in testa
gli Stati Uniti e il Canadà, è soggetto a influenze opportuniste direttamente
collegate alla borghesia locale, di cui ripetono esasperandoli i motivi della
campagna antirussa, anche se, come è il caso dell'Argentina peronista, la
crociata guerrafondaia contro Mosca si mescola a una concomitante azione
propagandistica e politica che persegue fini di ricatto contro i padreterni del
capitalismo yankee.
Europa Occidentale. In questa parte
dell'atlante dell'opportunismo il rosso, sia pure usurpato, del filo-russismo, parrebbe
che dovesse essere rappresentato a fortissime tinte. Ma si tratta più di
illusione che di una valutazione realistica. In Spagna, lo stalinismo è fuori
legge. In Olanda, Belgio, Svizzera, Danimarca, Svezia, Norvegia, Austria, non
rappresenta nemmeno il partito più forte della minoranza parlamentare, ottenendo
bassissime percentuali di voti. Anzi, in alcuni di questi è, dopo la parentesi
dell'espansionismo post-bellico russo, in netto declino: nei due maggiori paesi
scandinavi i voti stalinisti si ridussero, nel 1948, alla metà, in Danimarca,
ad un terzo. In Grecia è uscito da qualche anno completamente sconfitto nella
guerra civile iniziata da Markos. Particolare situazione presenta la
Jugoslavia, ove la rivolta della frazione titina del partito comunista locale
ha provocato il fenomeno originale dell'allineamento in funzione antirussa di un'organizzazione
politica tipicamente staliniana. Qui, però, e le recenti esecuzioni di elementi
antigovernativi lo testimoniano, la frazione filorussa, benché sotterranea è
ancora considerevole.
Esaminati i paesi minori, rimangono i
più forti numericamente ed industrialmente: Inghilterra, Germania, Francia,
Italia. Non occorre spendere molte parole per dire che l'opportunismo
filo-russo è più forte nei paesi (Italia e Francia) in cui meno sviluppata è l'industria,
relativamente parlando. In Inghilterra e Germania lo stalinismo è neutralizzato
rispettivamente dalla demagogia bevanista e socialdemocratica, i cui programmi
di nazionalizzazione colorata per giunta da un'abile propaganda antiamericana
costituiscono una insuperabile diga agli allettamenti staliniani. D'altra
parte, i recenti avvenimenti nel partito comunista francese, culminati nella
clamorosa messa sotto accusa di Marty e Tillon mostrano che il campo
dell'opportunismo staliniano francese è minato all'interno. La lunga assenza
dal governo logora gli organismi nati e funzionanti per starci. Non è difficile
profezia pronosticare che perdurando l'odierno dissimulato totalitarismo democristiano,
in Italia dovrà verificarsi presto o tardi un eguale fenomeno. A conti fatti, lo
stalinismo detiene in Europa occidentale posizioni tutt'altro che predominanti
e, per di più, non definitive. Il proletariato dei maggiori paesi industriali e
militari per la schiacciante maggioranza subisce l'influenza dell'opportunismo
che se non è dichiaratamente filo-americano, non dissimula affatto il suo
caparbio e fanatico antirussismo. La petulante propaganda cominformista basata su
patetici appelli alla concordia e proposte adescatorie di embrassons-nous
generali, costituisce la riprova di quanto andiamo dicendo.
Asia. In questa parte del mondo l'opportunismo
staliniano ha conseguito i massimi successi nel dopoguerra e mantiene un'energica
azione di disturbo e di guerriglia partigiana contro i governi sostenuti dalle
potenze colonialiste occidentali, rendendone precaria la stabilità politica.
Qui si è verificato il più clamoroso spostamento di forze imperialistiche ed
opportuniste a favore di Mosca, e cioè la cacciata dalla Cina delle forze
legate al Kuomintang e l'instaurazione del regime di Mao-Tse-Tung. Le ripercussioni
del gigantesco avvenimento si manifestano tuttora con l'intensificazione della
guerra partigiana nel Viet-Nam (Indocina), scoppiata fin dal dicembre del 1946,
in Malesia, nelle Filippine, ove su una popolazione di 18 milioni di abitanti
circa, 500.000 tra aderenti e simpatizzanti ingrossano le file del clandestino
partito degli Huks che solo la presenza di basi militari americane sul territorio
della repubblica riesce a contenere. Forse si mantiene l'influenza staliniana
nelle altre zone, e dove non riesce ad affermarsi, subisce gli effetti della politica
di gelosa neutralità che nei confronti degli antichi padroni colonialisti di
Occidente svolgono, per lo più sul piano delle enunciazioni ideologiche, i governi
indipendenti recentemente costituiti (India, Pakistan, Indonesia, Stati arabi,
ecc.). Fa eccezione il Giappone, che è la più forte, se non addirittura
l'unica, potenza industriale con considerevole proletariato, del continente asiatico
e del Pacifico. Qui la politica antirussa del governo tocca vette molto alte,
sebbene ipocritamente dissimulata, con la conseguenza che le forze staliniste
si trovano ad operare in un ambiente di semi-illegalità. Le recenti elezioni
nipponiche hanno segnato una bruciante sconfitta dei Cominform.
Il totale dei totali ci fornisce un
quadro abbastanza eloquente dei rapporti di forza dei campi in cui l'imperialismo
divide l'opportunismo operaio. Balza subito agli occhi che i massimi paesi
industriali del mondo, in cui si concentra la schiacciante maggioranza dei mezzi
di produzione e degli effettivi del proletariato industriale oggi esistenti, e
cioè Stati Uniti, Inghilterra, Germania, Canadà, Belgio, Olanda, Svezia,
Francia, Italia, Giappone ecc., sono sottratti, tranne qualche eccezione, alla
influenza dell'opportunismo filo-russo, il quale, tranne la Russia, e in misura
di gran lunga minore, l'Ungheria e la Cecoslovacchia, si applica su regioni del
globo prevalentemente agricole, che solo oggi fanno i primi passi verso
l'industrializzazione capitalista e la proletarizzazione dei contadiname.
Tale risultato, e solo questo, si ottiene facendo ruotare il mappamondo
della geografia dell'opportunismo. Quali conclusioni si debbono trarre? Quelle
implicite nella nostra concezione dell'opportunismo, considerato nella sua
essenza di alleato dell'imperialismo e di nemico giurato della rivoluzione.
Sotto questo profilo, ambo i campi dell'opportunismo, ad onta delle diverse ideologie
e parole politiche sbandierate, vanno combattuti. Oggi purtroppo ciò è
possibile quasi unicamente sul terreno teorico e propagandistico. Ma quando la
disfrenata guerra di classe avrà liberato le forze sociali represse, sarà di
preziosa utilità per l'internazionale rivoluzionaria futura l'aver acquisito da
tempo la nozione dell'esatto rapporto di forza tra i satelliti opportunisti
dell'imperialismo. Gioverà soprattutto essersi liberati a tempo della
sopravalutazione, artificiosamente alimentata dalla stampa borghese, della
capacità di influenzamento politico che si attribuisce agli uni, col risultato
di sottovalutare gli altri, e cioè di trascurare di armarsi anche contro di loro.
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